Oggi si prova “Il trionfo di Rosalia”

Salvo Piparo mi ha accolto per il suo ritratto durante le prove de “Il trionfo di Rosalia”, un omaggio alla Santuzza in vista del Festino.

Gli attori coinvolgono una cinquantina di interpreti tra i quali cittadini di quartieri come l’Albergheria, la Guadagna e Bonagia e i ragazzi delle case di accoglienza giunti in Sicilia con gli ultimi sbarchi.

Sono andato un paio di volte ad assistere. Si provano le scene drammatiche della peste in città, nonché altre più allegre che coinvolgono un re-bambino o anche la scena del mercato, in cui le “vanniate”  vengono esibite in tutta la loro musicalità. In religioso silenzio osservo lo spettacolo che diverrà, con tutte le incertezze dei personaggi che, prova dopo prova e giorno dopo giorno, mettono in opera uno spettacolo. Salvo Piparo, con pazienza infinita, ascolta, spiega, consiglia e guida gli attori, coinvolgendoli sempre di più in questo riadattamento di un testo di Salvo Licata.

Mi pongo lo scrupolo di scattare, perché il click della fotocamera può essere fastidioso, me ne rendo conto. Ma siamo durante le prove e prevale, come al solito, il gesto di mettere il mirino all’occhio e premere il pulsante. La luce scrive più volte.

Devo dire che li ho invidiati un po’, questi attori. Recitare, calarsi nella parte, piangere, ridere, soffrire, far vivere dei personaggi, veri o immaginari dev’essere davvero emozionante. Gli attori non sono professionisti ma li vedo molto presi e dopo diverse prove Salvo tira fuori quello che lui vuole, come l’espressione, la mimica, l’intonazione.

Durante una pausa chiedo a Salvo di mettersi vicino alla porta d’ingresso del locale. La bella luce calda di giugno entra dall’apertura, mentre la parete è già nera di suo.

“Salvo, guardami!”.

Sta al gioco. In quel viso c’è la sua storia; negli occhi i suoi sentimenti. Ecco che la luce scrive ancora. L’attimo è fermato. Mi basta.

Rimango per un altro po’, il tempo di fare qualche altro scatto durante le prove. Poi vado via.

Chissà perché ma spesso mi sovviene ciò che mi scrisse una volta il compianto Ando Gilardi, fotografo e critico, quando gli mandai alcune foto per stuzzicarlo:

“Sono belle sì!” mi scrisse “ma sono solo fotografie”.

Non è il caso di oggi. Ho realizzato delle fotografie ed un ritratto di una gran bella persona.

Ritratto ad una leggenda

Avevo il desiderio di ritrarre Mimmo Cuticchio da diversi anni. Un po’ per lo sguardo penetrante, molto fotogenico, ma anche perché è un combattente, proprio come molti dei suoi pupi. L’occasione si è presentata e lui è stato subito disponibile.

Mi accoglie in via Bara all’Olivella.

“Attento a non calpestare il fondale!” mi avverte. A terra un enorme fondale, bellissimo, enorme, era steso ad asciugare. L’avvertimento mi ha inibito un po’, temendo di fissare per sempre l’incontro non per un bel ritratto ma per una impronta della mia scarpa permanentemente fissata sulla faccia di uno dei paladini dipinti.

Parliamo per un po’. Mi racconta delle difficoltà degli anni ’70, quando l’opera dei pupi era considerata qualcosa di vecchio, da eliminare. Certo, negli anni ’70 anche i ragazzi di Palermo ascoltavano i Led Zeppelin, figuriamoci se andavano all’Opera dei pupi. Per i ragazzi di ogni generazione tutto è facilmente etichettabile come fuori moda. Sognavano l’America ad occhi aperti e non vedevano lo scempio che si stava compiendo intanto in città.

Chissà quante volte ha pensato di chiudere, mentre animava i suoi pupi, raccontando di guerre, tradimenti e amori,  col teatro semideserto. Poi man mano però egli cambia anche il racconto, dando nuova vita ai personaggi con storie nuove.

Ma il vero paladino è lui, Mimmo. I saraceni contro cui combattere sono stati i vari politici e potenti che si sono susseguiti ed hanno amministrato la città, promessa dopo promessa, non curanti di fatto del patrimonio culturale che rappresentava l’Opera. Proprio come uno dei suoi cunti, mentre con la spada serviva fendenti in aria e batteva il ritmo, egli ha combattuto contro i draghi dell’indifferenza, dell’incuria, dell’oblio.

Ha combattuto per il suo progetto di mantenere viva una tradizione che rischiava di morire; ha spettato, ha avuto pazienza, non si è arreso. E la storia di questa città gli ha dato ragione.

Oggi egli è ancora qua, nel suo Teatro in via Bara all’Olivella, a parlare di audaci imprese di cavalieri e principi, di amori e lacrime, di eroismo e viltà.

Non c’è bisogno di aprire il mio diabolico fondale pop up. Un fondale nero già pronto mi aspetta in fondo al teatro. Mimmo si mette in posa, prima con un paladino e poi senza. Faccio qualche scatto. Gli faccio vedere sul display il risultato. Si vede molto serio, con folta barba bianca; intona quindi: “Bradamante!” a voce alta e poi sorride.

Ecco, ho appena fotografato una leggenda.

Due parole su Palermo Capitale della Cultura

 

Ogni volta l’incontro con uno dei personaggi che ritraggo è un’incognita. A volte precede l’incontro un messaggio, oppure una telefonata, senza che io li abbia conosciuti personalmente e ogni volta mi chiedo: “Chissà se sono stato convincente. In fondo sono pressoché uno sconosciuto che espone un’idea”. Ecco, se c’è un’altra cosa che mi ha aiutato nel contatto iniziale e che  li accomuna, oltre l’amore per Palermo, è l’apertura mentale e la curiosità. Mettersi nei panni dell’altro e cercare di capire, senza pregiudizi. Persone che hanno un vissuto in nome dell’arte, alla ricerca del bello e anche di se stessi.

Ho sempre trovato persone disponibili e con le quali sono nate delle chiacchierate davvero amabili, con tanto di caffè fatto per l’occasione, proprio come un incontro con amico. Ciò nonostante mi chiedo però cosa pensino realmente quando mi vedono arrivare, armato di stativi e fondale pieghevole, e quando, dopo la chiacchierata, mi vedono trafficare col suddetto fondale che si apre in modalità pop-up.

La sessione fotografica dura generalmente poco perché non c’è bisogno di scattare tante fotografie, se si hanno le idee chiare. E poi non voglio far pentire di tanta disponibilità i miei ospiti.

Con Gigi Borruso ho approfittato della splendida luce proveniente da una finestra che si affacciava sulla splendida via Maqueda. Però quel tipo di  luce da sola non basta: per fare un ritratto ci vuole anche un’altra luce, quella degli occhi della persona da ritrarre. Ecco come nasce un ritratto per Palermo Capitale della Cultura.